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Sopra una tavola coperta di finissima tela leggermente impressa e dorata, alta trenta centimetri e larga ventiquattro, sta la meraviglia di cui vi parlo. Essa rappresenta un Nazzareno risorto in atto di benedire con l' una mano lo spettatore, con l'altra di accennargli la piaga del costato. Questa, e l'altra delle mani, e la corona di spine, e i capegli cadenti sulle spalle attestano la passione; ma la fisonomia, che al tempo stesso è dolce e maestosa, patetica e sublime, umana insieme e divina, dimostra il trionfo dell' Uomo Dio. Ove ogni altra testimonianza mancasse ad appalesarci il quadro opera dell' Urbinate, questa sola inimitabile sembianza basterebbe; imperciocchè nessuno concepir seppe ed esprimere un bello ideale, conveniente al soggetto quanto egli e in questo e in altri suoi capolavori. Arroge che in questo volto si traveggono alcuni lineamenti, benchè modestamente segnati, del volto dello stesso pittore, il quale, bellissimo, come sapete, soleva non raramente sè medesimo in tutto o in parte ritrarre nelle figure che toglieva a dipingere. Il Nazzareno due terzi di figura è ignudo, tranne un manto rosso che gli discende dall'omero destro, e si ripiega sui fianchi: il fondo della tavola offre un bell'orizzonte, e in lontananza montagne. Tale si è il quadro: ma la sua bellezza esce affatto dall' ordinario, e ben si scorge avervi il pittore superate grandissime difficoltà, si nel rappresen tare le forme più perfette del corpo umano in uno stato di apoteosi, sì nel cogliere una fisonomia corrispondente tanto ai se guali della passione, quanto al trionfo della glorificazione, e si nell' ottenere un tanto effetto con una sola figura, senza aiuto di accessorj. Che siffatta pittura esca dalle mani del grande Urbinate, e spetti alla sua prima maniera, partecipando però della grandiosità della seconda, oltre quanto ve n' ho detto, Madama, il dimostrano il disegno, il colorito, l' espressione, e quella grazia caratteristica che distingue le opere di lui da quelle d'ogni

altro maestro: ce lo dicono e testimoniano quanti artisti, quanti intelligenti e dilettanti la veggono, ed a cui rimane altamente scolpito nel cuore un cotal misto di pietà, di tenerezza, ďammirazione che si può sentire bensì, ma non esprimere. Finalmente ce lo attesta la tradizione della nobile famiglia Mosca di Pesaro, cui apparteneva, e dalla quale il conte Paolo Tosi, a vanto di Brescia, fece l'acquisto.

Ma come ricordare il conte Tosi, senza far cenno almeno di altri tesori, dallo squisito gusto di lui, in ogni bell' arte raccolti? o come dire di questi senza ricordare la Galleria Lechi, poco fa tra li più begli ornamenti della vostra Milano, ed ora certo il principale di Brescia; e le moltissime dipinture di somma bellezza sparse per le nostre chiese e per qualche privata raccolta? Ma i limiti di una lettera sono oltrepassati, ed io chiuderò, dicendovi, che al Nazzareno fanno corona un busto del Canova, un gruppo di Thorwaldsen, una Ebe del Landi, un quadro del Frate, uno di Andrea del Sarto, intagli e medaglie e cento altre cose, le quali tutte sono collocate in un elegantissimo appartamento che il conte Tosi fece erigere ed ornare appostatamente dal bresciano architetto sig. Rodolfo Vantini, rinomato per isquisito gusto ed opere egregie, ma più per la bella fabbrica del nostro Campo Santo.

E basti, chè e ciò e il moltissimo di più tornerebbe pur vano, qualora, posta da un lato la promessa tante volte ripetuta, un quadro di Raffaello di quel pregio, non bastasse a farvi fare una gita di sessanta miglia; sapendo già che qui vi attendono la stima di parecchie vostre pari, la curiosa brama della vivace gioventù nostra, e il desiderio ardentissimo del più sincero de' vostri amici *.

Di Brescia li 10 agosto 1825.

Mi perdoneranno i lettori se nel pubblicare questa lettera, non posso

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