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<< avente la iscrizione (riferita e interpetrata, « Il Comandante dei soldati astati). Nel sepolcro « poi profondo un cinque piedi si rinvennero pic. <coli vasi, che in parte rimasero infranti dai la

<< voratori >>.

DI RUGGE

CXV.

(inedita)

Pietra sepolcrale proveniente da Rugge, ivi trovata intorno al 1850, ed acquistata dal Museo Provinciale dove si conserva.

CXVI.

(inedita)

In quel punto della via, che da Lecce verso Lequile giunge nell' estremo lembo dell'aja meridionale di Rugge, e proprio dove l' alto piano con certa tal quale rapidità s' inchina per formare la contrada chiamata la Cupa, fino all'inverno del 1869 vi esistevano le reliquie più belle, più estese, e più conservate dell' antica città (un tratto di 30 metri circa). Al proprietario del fondo, il cui nome è meglio tacere, perchè se commise barbarie, fu per ignoranza, piacque diroccarle, e già tutto l'avanti di quel monumento è giù per ter·

ra, e non ne rimarrebbe più segno, se la Commissione Conservatrice della Provincia non fosse ́corsa a riparare il mal fatto, almeno in parte. Ma il danno è grande, e non restano nel loro posto che pochi massi dal lato interno della città. Gli altri furono trasportati via, meno alcuni che colà vicino giacciono ancora sperperati. Sotto uno di questi, e dal lato ove poggiava il muro s'è trovata graffiata la riportata leggenda,

CXVII.

(inedita)

In questo momento (16 Giugno 1871) giunge nel Museo Provinciale una parte delle solite la. pidi, che soglion coprire i sepolcri di Rugge, e colla presente iscrizione. Dicesi ivi rinvenuta e conservata da oltre 10 anni nella stalla d'una masseria di quei dintorni. Veduta, da principio non ci parve genuina, ma con altre persone disaminata, trovammo che solo posteriormente le sue lettere in parte erano state toccate ed allargate con punta di coltello. Sette lettere però son mes. sapiche indubitatamente, e le due prime parole della iscrizione trovano riscontro al N. 79.

È con tali dubbi ed osservazioni che la presentiamo al lettore.

DI VALESIO

CXVIII.

(inedita)

Copiata e favoritaci dall' orefice Scarambone di Lecce, da lui trovata nel sepolcro d' una sua terra a Valesio. S'è disposto che la lapide su cui sta incisa fosse trasportata al Museo Provinciale. La sua prima parola par che sia simile all'altra di Lecce del N. 96, ma noi ocularmente non vedemmo ancora l'originale.

DI CABALLINO

CXIX.

(inedita)

Questa lettera di nero smalto fu da noi veduta dietro ad una patera uscita fuori insieme ad altri vasi, ossa umane e qualche rottame di bronzo da un sepolcro trovato nel 1866 a mezzogiorno, contiguo alle abitazioni di Caballino, e propriamente in un verziere detto Le Orte. Si notava di più, come intorno al medesimo nella piena terra vi giacevano tre scheletri su cui posavano altri frammenti di bronzo, quasi fossero stati di collane, di fibule e di borchie.

ISCRIZIONI MESSAPICHE

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Detta lettera isolata non avrebbe importanza veruna da per se stessa, se non si fosse da noi presa come occasione di richiamare lo sguardo degli archeologi su questo luogo.

Caballino è un piccolo villaggio quattro chilometri e mezzo discosto da Lecce, l'antica Lupia, ma circondato dai resti d'una città scono. sciuta, fra cui van notati ingenti massi delle sue muraglie semiciclo piche, mucchi giganteschi di pietre, oltre le tombe, le monete, le gemme ed altri cimeli, che ivi di frequente si scovrono.

Il primo che dette rovine avvertì e fece avvertire fu il Castromediano, il quale le sospetta della Sibaris posta da Pausania in queste contrade, ma che in vero dove precisamente fosse stata ancora non è appurato.

Delle medesime, per quanto ci sia noto, nessuno autore municipale o straniero fece menzione, meno che in uno manuscritto apocrifo, col falso nome di Iacopo Alfonso Lelli, intorno alle rovine di Rugge, conservato nel Museo Provinciale, tro viamo quanto segue:

<< Aviano però li populi Titani dispersi, dove « oggi è Lupia fatta una specie di città cu certi « tuguri ordinati, che pigliavano da dove oggi è <«<lu poggiu de molti leccesi, che lo chiamano Li« cii-Anello, cioè anello di Lupia, o Licio, et avea << nel suo circuitu ancora lo porticu del cavallo,

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(ossia della razza, che si chiama poggiu Caval« lino, dove nci se vedono le antiche mura, et se dice pure Cabballino. Poi tutti questi tuguri et <case co mure erano abitate dalli Titani; ma poi <<li Titani et Iapigii se miseru culli Sibariti, popoli detti Ebrei, et ficera la cetà de Sybari, et « miseru alle porte della Cetà li Lupii, et per que<ste cose Lupia si chiama pure Sybari, perchè allo Re Malennio non piacia tanto grande la Cetà e la strinse, et come issu era greco, la<sciao lu nome ebreo Sybari, che se capiva Lupo < nella nostra lingua, et la chiamao Lupia an gre <co, quasi Lupo, et mise la Lupa alle gemelle, cento anni et più prima della guerra Troiana. Et perchè nde fice doi Cetà, et nci mise li Greci < soi, li Titani, li Cretesi antichi, et Sybariti li < chiamao Gemelli. Et quistu fu lo secondo Re Salentino edificatore delle doi Cetà de Lupia et Rudie; et pe quiste cose e le guerre dell'Ita liani et Sybariti, Pausania dice dello tesoro nostru anticu, et non già de altra Sybari, perchè isso dice: aedificaverunt et Sybaritae thesau rum suum, qui proxime ad Epidamniorum thesaurum constitutus est, et sane qui de Italia ejusque civitatibus aliquid sibi investigandum Lupiam memoriae prodiderunt Civitatem esse inter Brundusium et Hydruntum mutato nomine ita vocatam, quae ante Sybaris dicebatur; in ea extat

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